Perché le notizie false sono così efficaci?

Come riporta un articolo de La Stampa del 2020, "i siti con fake news hanno il quadruplo delle visualizzazioni rispetto a quelli con informazioni ufficiali". Nel nostro paese sono più di 90 i siti che creano appositamente fake news: circa 600 al giorno, ognuna condivisa centinaia di volte. 

Si sa da tempo che le bufale si diffondono molto più rapidamente delle notizie vere: ad esempio, su Twitter le fake news si diffondono 6 volte più velocemente delle informazioni corrette. E hanno il 70% in più di probabilità di essere ritwittate, soprattutto quelle a tema politico. 

Un coinvolgimento mai visto prima nella storia della disinformazione, sebbene le fake news esistano da millenni. Perché? A causa dell'avvento dei social media.

I meccanismi dei social media

I social sono disegnati per monetizzare la nostra attenzione per mezzo della pubblicità. Per riuscire al meglio in questa impresa, utilizzano algoritmi che, sulla base di modelli statistici, predicono e massimizzano il coinvolgimento dei contenuti. Per farlo sfruttano, essenzialmente, due meccanismi:

  1. analizzano le preferenze di ogni utente, per poi mostrargli i post e le informazioni che potrebbe gradire maggiormente e i profili che le sono più affini. In tal modo la persona, più usufruisce di un social, più viene esposta a contenuti che rinforzano le sue convinzioni. A causa di ciò, i social network riducono la tolleranza verso visioni alternative e informazioni nuove, amplificando invece le polarizzazioni delle idee e quelle affettive (ovvero il disprezzo nei confronti de "l'altra parte", coloro che la pensano diversamente).
  2. Promuovono i contenuti più coinvolgenti. Il numero di like, commenti e condivisioni non è l'unico fattore che spinge gli algoritmi dei social a spingere un contenuto (considerano anche le fonti e l'opinione di squadre di fact-checker), ma ha comunque un ruolo importante. In conseguenza di questo, profili falsi e automatici (bot) che producono, condividono e commentano le fake news possono aumentarne la diffusione di diversi ordini di grandezza. E questi fenomeni non sono così rari: secondo stime recenti, i bot sarebbero 60 milioni su Facebook e circa la metà su Twitter (il 9-15% degli account). Un dato importante, anche se queste stime sono effettuate in base a una serie di criteri da prendere con le pinze (come elementi linguistici, numero di condivisioni e numero di contatti). 
Nel mondo, il 90% degli utilizzatori di internet ha almeno un profilo social: il 53% della popolazione globale. Un dato impressionante, se consideriamo che gran parte di questi utenti si informa anche (o solo) sui social media (il 66% degli utilizzatori di Facebook e il 59% di quelli di Twitter).

La dipendenza dai social e i bias cognitivi 

Ognuno di noi, in media, controlla il telefono ogni 6 minuti; passiamo circa 7 ore al giorno online, di cui circa 2,5 sui social. Quando ce ne allontaniamo, spesso manifestiamo i comportamenti tipici delle crisi di astinenza, come agitazione e insonnia. Queste piattaforme, infatti, stimolano la produzione di dopamina (un neurotrasmettitore) nel sistema della ricompensa, un meccanismo neurologico che ci informa della piacevolezza di un'attività: quando entriamo in contatto con alcuni stimoli (come acqua e cibo), ci fornisce gratificazione. In questo modo si crea un'associazione che spinge a ripetere l'esperienza: è il meccanismo neurale coinvolto nella motivazione, nel piacere e nelle dipendenze (in cui la spinta a ottenere lo stimolo è compulsiva e incontrollabile). Il livello di dopamina che deriva dall'esperienza è maggiore quando questa è inattesa, proprio come nel caso delle notifiche, ad esempio.

In conseguenza di questo, la capacità decisionale è compromessa. Il sistema della ricompensa, infatti, subisce delle alterazioni che compromettono quest'abilità, tanto più ridotta quanto più si usano i social network. A contribuire alla minore ponderazione delle notizie è la diminuzione dell'attenzione che prestiamo ai post: spesso siamo soggetti a così tanti stimoli che vi dedichiamo poco tempo, così che valutiamo meno accuratamente le informazioni.

D'altra parte, anche quando siamo "lucidi" sono tanti gli errori di valutazione che commettiamo nella vita di tutti i giorni. Questo perché siamo nati per compiere una serie di deduzioni che possono spingerci a sbagliare: sono i bias cognitivi, sorte di lenti che ci mostrano un mondo diverso. Dodici di questi, in particolare (sono circa 150 in totale), ci spingono a credere nelle fake news
  • Quando non siamo a conoscenza di un argomento, non ci rendiamo conto di quanto non sappiamo. Per questo motivo tendiamo a sopravvalutare molto le nostre conoscenze; al contrario, chi ha esperienza in merito si ritiene più ignorante proprio perché conosce la materia e quindi si rende conto di non sapere tutto. Questo fenomeno è noto come effetto Dunning-Kruger, dai nomi degli psicologi che per primi lo descrissero. Ne siamo affetti un po' tutti. Allo stesso modo, abbiamo la tendenza a credere di conoscere il mondo in modo obiettivo, così che ci convinciamo che chi discorda da noi sia ignorante o poco obiettivo (naïve realism). 
  • Tendiamo a interpretare e cercare le informazioni in modo che confermino quello che già crediamo (confirmation bias) e ad accettare quelle che ci danno ragione, rifiutando quelle che ci contraddicono (esposizione selettiva). Talvolta, anche informazioni in realtà discordanti vengono da noi percepite come se in realtà provassero quello che pensiamo (biased assimilation).
  • La dissonanza cognitiva è un fenomeno psicologico per cui proviamo stress di fronte a un pensiero che non si allinea al nostro, così che siamo spinti a negarlo, ridimensionarlo o evitarlo. Possibili fenomeni cognitivi che ne conseguono sono il motivated reasoning, in cui argomentiamo in base a quello che vorremmo credere, e il politically motivated reasoning, in cui argomentiamo per difendere il nostro gruppo, a prescindere dai fatti. A causa del disagio provocato dalle informazioni che non si allineano al nostro pensiero, siamo anche portati a non notare e a dimenticare più facilmente ciò che ci contraddice (selective perception).
  • Siamo portati ad accettare maggiormente un'informazione che ci piace (desirability bias).
  • Una volta che un'informazione falsa è stata recepita, può continuare a influenzare il nostro modo di pensare anche se pensiamo di aver capito che non era reale (continued influence effect o continued influence of misinformation).
  • La situazione è ulteriormente peggiorata dalla cassa di risonanza creata dai social: la continua esposizione alla propria opinione, senza obiezioni, rinforza sempre più l'idea di partenza (echo chamber effect).

Le caratteristiche delle fake news

Le fake news colpiscono dove fa più male: nelle emozioni. In genere, chi abbraccia le notizie false si sente impotente, impaurito. Le fake news mirano a creare e alimentare paura, rabbia, indignazione: sentimenti che riducono la capacità di riflettere su quanto riportato e spingono a condividere l'informazione.

Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Ogni notizia falsa è studiata per un certo gruppo di persone, accomunate da personalità, interessi e obiettivi simili, a cui si adegua. Si mimetizza, così da essere accolta con più facilità. E, se nel gruppo nessuno si accorgerà che è falsa e tutti l'appoggeranno, diventerà un fatto sociale (o realtà sociale), una verità radicata all'interno di quella comunità. A quel punto, non importa quante prove possano sfatare quell'informazione: metterla in discussione le darà solo visibilità.

D'altra parte, le fake news sono, in genere, costruite in modo da essere credibili. Il modo in cui distorcono l'informazione può essere molto sottile, così che diventa difficile smascherarle e sfatarle. Una lotta difficile, quella alla disinformazione, ma non dobbiamo arrenderci: in un mondo in cui le fake news si diffondono più velocemente della pandemia, è necessario combatterle il più possibile. E i modi per farlo esistono.



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